4 maggio 2016

Musica dal mondo...



Le differenze musicali da popolo a popolo ci permettono di comprenderne ed apprezzarne i diversi modi di esprimersi. Una grande fetta di strumenti musicali popolari è ricavata dalla natura e, facendo musica, si dà voce ad essa stessa.
Il termine musica “popolare” significa musica del popolo, cioè non di professionisti della musica ma di semplici dilettanti che svolgono mestieri anche lontani dall’ambito musicale e che suonano solo per passione. Tale musica è pertanto eseguita durante le principali ricorrenze del luogo in cui si vive e nelle più significative occasioni della vita collettiva. Questa musica viene quindi composta spontaneamente, senza alcun fine di lucro bensì per scopi sociali, per stringere legami all’interno della comunità.
La musica popolare si tramanda oralmente di generazione in generazione (ci sono canti popolari risalenti anche al Medioevo). È musica principalmente anonima in cui vengono adoperati strumenti, scale, ritmi, lontani dalla tradizione classica.
L’avvento di mezzi di registrazione ha contribuito notevolmente allo studio della musica popolare poiché ha permesso agli etnomusicologi di cogliere le modalità di esecuzione, di confrontare le varianti, di analizzare con calma i vari passaggi.
Le voci della musica popolare raramente sono impostate secondo le regole della scuola di canto tradizionale e gli strumenti non sono quelli raffinati e costosi della musica d’arte. Fra di essi troviamo la ghironda, la zampogna, la fisarmonica, il banjo, la balalaika, la cornamusa, il bongo, le maracas, le nacchere e, in Sardegna, le launeddas.
Le melodie popolari hanno grandi varietà e irregolarità ritmiche e sono quindi lontane dai precisi canoni della musica colta: è frequente l’uso di ritmi di cinque o sette suoni forti per battuta e spesso le frasi musicali cambiano ritmo nel corso del brano. Oltre alle scale modali di derivazione gregoriana, vengono usate scale esafoniche (o esatoniche) di sei note e pentafoniche (o pentatoniche) di cinque note.
In giro per il mondo
Nell’Africa settentrionale e nel Medio Oriente la religione islamica influenza i testi e le composizioni vocali. Occupa qui un ruolo di rilievo la cosiddetta “musica leggera”, ossia quella musica concepita per divertire il pubblico. Questa ha conservato le tipiche inflessioni della cultura araba con scale e intervalli unici nel loro genere.
Nell’Estremo Oriente è caratteristico l’uso della scala pentafonica accompagnata da strumenti quali lo zheng in Cina e il kato in Giappone.
In India la musica è molto legata alla spiritualità e alla dottrina religiosa buddhista, che offre all’ascoltatore svago e piacere, aiutandolo a liberarsi dal dolore della vita.
Nelle Americhe la musica segue due differenti binari: il primo, nel Nord America, risente della tradizione aborigena; l’altro, nel Sud, ha caratteri più vivaci che ci riportano ai piccanti balli latini.
Focus: il flauto dei pellerossa
Nell’America settentrionale la civiltà discendente dai pellerossa adopera un particolare flauto interessante per il simbolismo che lo avvolge: esso, infatti, ha sei fori indicanti il Cielo, la Terra e quattro punti cardinali. Il fiato che produce i suoni all’interno della canna rappresenta lo spirito.
Focus: la launeddas sarda
La launeddas è uno strumento formato da tre canne di differente lunghezza. La più lunga è impugnata dalla mano destra e non ha fori, le altre due sono legate insieme e sono affidate alla mano sinistra. Queste hanno, invece, cinque fori ciascuna e intonano le melodie vere e proprie.

Luciana Capriati e Giorgia Dell’Erba, 1D