Le
differenze musicali da popolo a popolo ci permettono di comprenderne ed
apprezzarne i diversi modi di esprimersi. Una grande fetta di strumenti
musicali popolari è ricavata dalla natura e, facendo musica, si dà voce ad essa
stessa.
Il termine
musica “popolare” significa musica del popolo, cioè non di professionisti della
musica ma di semplici dilettanti che svolgono mestieri anche lontani
dall’ambito musicale e che suonano solo per passione. Tale musica è pertanto eseguita
durante le principali ricorrenze del luogo in cui si vive e nelle più
significative occasioni della vita collettiva. Questa musica viene quindi
composta spontaneamente, senza alcun fine di lucro bensì per scopi sociali, per
stringere legami all’interno della comunità.
La musica popolare si
tramanda oralmente di generazione in generazione (ci sono canti popolari
risalenti anche al Medioevo). È musica principalmente anonima in cui vengono
adoperati strumenti, scale, ritmi, lontani dalla tradizione classica.
L’avvento di mezzi di
registrazione ha contribuito notevolmente allo studio della musica popolare
poiché ha permesso agli etnomusicologi di cogliere le modalità di esecuzione,
di confrontare le varianti, di analizzare con calma i vari passaggi.
Le voci della musica
popolare raramente sono impostate secondo le regole della scuola di canto
tradizionale e gli strumenti non sono quelli raffinati e costosi della musica
d’arte. Fra di essi troviamo la ghironda, la zampogna, la fisarmonica, il
banjo, la balalaika, la cornamusa, il bongo, le maracas, le nacchere e, in
Sardegna, le launeddas.
Le melodie popolari hanno
grandi varietà e irregolarità ritmiche e sono quindi lontane dai precisi canoni
della musica colta: è frequente l’uso di ritmi di cinque o sette suoni forti
per battuta e spesso le frasi musicali cambiano ritmo nel corso del brano.
Oltre alle scale modali di derivazione gregoriana, vengono usate scale
esafoniche (o esatoniche) di sei note e pentafoniche (o pentatoniche) di cinque
note.
In giro
per il mondo
Nell’Africa
settentrionale e nel Medio Oriente la religione islamica influenza i testi e le
composizioni vocali. Occupa qui un ruolo di rilievo la cosiddetta “musica
leggera”, ossia quella musica concepita per divertire il pubblico. Questa ha
conservato le tipiche inflessioni della cultura araba con scale e intervalli
unici nel loro genere.
Nell’Estremo Oriente
è caratteristico l’uso della scala pentafonica accompagnata da strumenti quali
lo zheng in Cina e il kato in Giappone.
In India la musica è
molto legata alla spiritualità e alla dottrina religiosa buddhista, che offre
all’ascoltatore svago e piacere, aiutandolo a liberarsi dal dolore della vita.
Nelle Americhe la
musica segue due differenti binari: il primo, nel Nord America, risente della
tradizione aborigena; l’altro, nel Sud, ha caratteri più vivaci che ci
riportano ai piccanti balli latini.
Focus:
il flauto dei pellerossa
Nell’America
settentrionale la civiltà discendente dai pellerossa adopera un particolare
flauto interessante per il simbolismo che lo avvolge: esso, infatti, ha sei
fori indicanti il Cielo, la Terra e quattro punti cardinali. Il fiato che
produce i suoni all’interno della canna rappresenta lo spirito.
Focus: la
launeddas sarda
La launeddas è uno
strumento formato da tre canne di differente lunghezza. La più lunga è
impugnata dalla mano destra e non ha fori, le altre due sono legate insieme e sono
affidate alla mano sinistra. Queste hanno, invece, cinque fori ciascuna e intonano
le melodie vere e proprie.
Luciana Capriati e Giorgia
Dell’Erba, 1D