24 gennaio 2013

Il prodigio

Il primo e più grande musicista dell’epoca romantica, Ludwig van Beethoven, nasce a Bonn nel dicembre del 1770. Fin da bambino viene costretto dal padre a studiare pianoforte. Il padre è un uomo di mediocre talento che cerca di riscattare la sua immagine attraverso un figlio geniale. Ludwig viene spesso rimproverato di non essere come Mozart e questo lo porta a non avere un rapporto sereno con il musicista salisburghese. La sua infanzia infelice segnerà tutta la sua vita. A soli 12 anni già sostituisce il suo insegnante, il famoso Christian Gottlob Neefe, alla corte di Bonn. Si dedica con entusiasmo anche allo studio della letteratura e della filosofia. Impaziente di conoscere Mozart, intraprende un viaggio a Vienna. Mozart ascolta la sua musica e gli garantisce un prodigioso e brillante futuro. Ludwig ne è entusiasta e nel 1792 si trasferisce nella capitale austriaca con i suoi fratelli ma Mozart è appena morto. Prende lezioni da altri musicisti (Haydn e Salieri) ma studia e apprezza le opere di Mozart (i Concerti e le Sinfonie gelosamente conservate dalla moglie Costanza e mai cedute alle richieste di Salieri!), che dirigerà nel grande Teatro viennese. Ha così inizio la sua grande carriera di musicista e compositore. Le sue prime opere risentono dello stile mozartiano. Nel 1800, però, arrivano i primi sintomi di un’otite che peggiora sempre più. Beethoven non accetta l’idea della malattia e di una vita che non sarà più come lui avrebbe immaginato, così diventa un uomo burbero e solitario. Ma la malattia prenderà il sopravvento e lui diventerà sordo. Ne è distrutto, teme di perdere il suo lavoro di musicista, si rintana in un completo isolamento, prende in considerazione l’idea del suicidio, ne scrive in una lettera ad un suo caro amico nel 1802, poi chiamata Testamento di Heiligenstadt. Ma è fortemente religioso e grazie alla sua profonda fede e ad una grande forza interiore riesce a salvarsi. Con la musica che compone d’ora in poi nasce il Romanticismo dove ogni artista può esprimere tutte le sue emozioni e idee, il suo modo di essere. Adesso Beethovan si apre completamente attraverso la musica e dà voce ai suoi più grandi ideali: l’Amore, la Natura e la Fratellanza. Inizia a comporre musica meravigliosa, come ogni grande artista scrive dopo un grande trauma (ricordiamo il poeta tedesco Hoelderlin, vissuto solitario per 30 anni in una torre, e le sue poesie dolcissime e romantiche). Le opere più famose di Beethoven sono le sue nove Sinfonie. Tra queste la Quinta, scritta nel 1806 insieme alla Sesta, e la Nona che si conclude con l’Ode alla Gioia, scritta su testo del poeta Friedrich Schiller. La particolarità di questa sinfonia sta nel fatto che vi viene impiegato il canto (un coro e quattro solisti), mai inserito prima in una sinfonia. Beethoven realizza altre importanti opere che aprono letteralmente “il mondo del Romanticismo”: le 32 Sonate per pianoforte, i Quartetti e, per la musica sacra, la Messa solenne. Nel 1811 il musicista incontra il grande poeta tedesco Goethe. Da tempo il nostro spera di incontrarlo perché nutre un fortissimo desiderio: quello di mettere in musica il Faust. L’incontro però non ha successo: tra i due artisti non si crea un’intesa. Goethe è un uomo sereno e molto rigoroso; Beethoven è invece un uomo agitato, tormentato e cupo. Per questo i due capiscono di essere diversi e che non sono fatti per lavorare insieme. Il progetto del Faust non si realizza e Goethe rimarrà sempre più legato alla musica gioiosa di Mozart. Negli ultimi anni della sua vita Beethoven comincia a comporre una decima sinfonia ma nel 1827 muore a Vienna, solo, circondato da pochi affetti. La sua morte non passa inosservata: migliaia di persone assistono al suo funerale, la città di Vienna rimane in lutto per ben tre giorni, come segno di grande ammirazione per un uomo altrettanto grande!

Fiammetta Ceglie, 3G

17 gennaio 2013

Beethoven: sinfonia EROICA

La Terza Sinfonia, scritta da Beethoven negli anni 1802-1804 e dedicata a Napoleone, fu inizialmente intitolata Bonaparte per poi divenire Sinfonia Eroica, composta per festeggiare il sovvenire di un grande uomo.
Ve ne proponiamo una recensione molto, molto ... speciale! 

La definizione “eroica” va intesa nel senso più ampio del termine: non un eroe militare ma l’uomo nella sua interezza, l’uomo che prova tutte le emozioni umane – amore, dolore e forza – con la massima energia possibile.
Il primo tempo abbraccia tutte le sensazioni della natura umana nel più frenetico slancio giovanile: gioia, sofferenza, piacere, dolore, grazia, tristezza, aspirazioni, frenesie, ardire, irrefrenabile coscienza di sé si intrecciano con forza. E’ la forza propulsiva di questa composizione che affascina e terrorizza. Forza che si accumula fino ad erompere in potenza distruttiva. Pare quasi di vedere una creatura in atto di stritolare il mondo, un titano che lotta con gli dei.
Nella Marcia funebre la musica ci trasmette una sensazione di profondo dolore, animata da una solenne tristezza: una grave, virile mestizia trascorre dal lamento alla tenera commozione, al ricordo, alle lacrime d’amore, all’elevazione interiore, al grido entusiastico. Poi dal dolore germina una nuova forza che ci invade con l’ardore sublime che solo la musica è in grado di esprimere.
Il terzo tempo emana energia, irruenza selvaggia. Davanti a noi c’è ora l’uomo sereno che si aggira felice in mezzo alla natura, alle distese dei campi, alle alture boscose dove riecheggia il suono dei corni da caccia.
Nel quarto tempo Beethoven ci mostra, in conclusione plastica, l’uomo nella sua armonica unità. Il Maestro fissa tutto questo in un tema estremamente semplice che sviluppa all’infinito, dalla più tenera dolcezza alla massima forza. E’ la potenza irresistibile dell’amore che, alla fine del brano, si insedia completamente nel cuore, si espande fino ad abbracciare, nella sua ebbrezza, anche il dolore perché ebbrezza e dolore sono un’unica realtà. Il cuore sussulta, sgorgano lacrime di nobile umanità mentre dall’estasi della malinconia prorompe nuova energia. E l’uomo, nella sua pienezza, ci grida esultante d’essersi riconosciuto dio!.


Richard Wagner, Zurigo 1851