25 giugno 2010

Jazz in Remix


È negli anni ‘30 inoltrati che il jazz da ballo, il jazz ormai ‘contaminato’ dai bianchi, nasce; è il jazz contemporaneo a quello dell’ambasciatore del jazz, Louis Daniel Armstrong, il protagonista assoluto della scena musicale del tempo. Ma uno dei tanti personaggi secondari verrà ricordato solo nel 2010. Allora il suo nome non era conosciuto, e chi avesse osato paragonare un suo brano al fenomenale What a wonderful world? sarebbe stato portato d’urgenza ad un manicomio. Sto parlando della giovane e bella Peggy Lee, accompagnata sempre dal fantastico clarinettista Benny Goodman, il re del jazz dei bianchi (nella foto).E di una canzone in particolare. È Why don’t you?, che nel 1932 fa il giro di molte trasmissioni radiofoniche, ma a cui non riesce mai il salto di qualità. Parla di una storia ambientata nel 1922: un uomo ricco e zimbello di molte donne incontra una ragazza che lo tratterà solo per interessi monetari, tant’è che nel ritornello c’è un ‘Give me some money you!?’, ovvero ‘Mi dai dei soldi tu?’. Il clarinetto di Goodman rende l’atmosfera molto particolare e non si può evitare un movimento, seppur minimo, di ballo.

Febbraio 2010: un dj da poco emergente, in arte Gramophonedzie, ritrova la canzone. E la mette su un giradischi. E la ascolta. Gli piace. E gli piacerebbe, giusto per raggiungere la vetta delle classifiche mondiali, ‘rifarla’, renderla moderna, senza trascurare il lato jazz. E se la canzone, il suo ‘remix’, deve essere davvero speciale, deve avere anche un video, che magari rappresenti la stessa attraente donna che prova a conquistare l’uomo ricco ma ingenuo. Ed è cosi. Nel video c’è un ragazzo che rappresenta il ‘ragazzo tipo’ di oggi. E vive in una ‘casa tipo’ di oggi, nel più totale disordine, con poltrone rotte, TV accesa, mobili spostati, panini non finiti. Il ragazzo ha anche molto disordine nei pensieri. E sta ascoltando ad alto volume una base da dj sublime. Ma, improvvisamente, una tromba e un clarinetto sovrastano il sound della console. Ed una donna, in bianco e nero, sbuca, sedendosi su una poltrona e, accompagnata da una base tipicamente jazz, inizia a cantare con una voce straordinaria, fino ad arrivare al ritornello. Qui effetti della console da dj si fondono con clarinetti, trombe e la fantastica voce rievocata di Peggy Lee. La donna, servendosi di un aspirapolvere, inizia a trasformare tutto in bianco e nero, tutto COME negli anni ’20. E la poltrona diventa stile Art Nouveau, il tavolo, pieno di panini, diventa uno sfarzoso tavolo da pranzo, tutto si rimette in ordine, e la TV diventa una piccola radio. Quindi il gran finale: l’aspirapolvere trasforma anche il ragazzo, in un ricco ma ingenuo giovincello dell’epoca, con riga, giacca e cravatta. Il dato simpatico è che il ragazzo si ritrova, alla fine di tutto, con un giornale che espone le notizie del ‘22, ma soprattutto fuori dalla porta di casa sua, probabilmente poiché la sua casa del ‘22 è molto più bella, ma lui molto più ingenuo.

Oggi, Why don’t you? di Gramophonedzie è nella top three di canzoni più belle del momento. E bellissimo è vedere come rievocare e modernizzare l’antico jazz possa suscitare emozioni fortissime.
Questa l’opinione di chi si è letteralmente invaghito del jazz e di Why don’t you. Come me.


Francesco Petrocelli 3F

12 giugno 2010

L'Impressionismo di Claude Debussy



Claude-Achille Debussy (Saint-Germain-en-Laye, 1862 Parigi, 1918) compositore e pianista, è considerato uno dei più importanti musicisti francesi di tutti i tempi, nonché uno dei massimi protagonisti, insieme a Maurice Ravel, dell'Impressionismo musicale.

Il suo stile è caratterizzato dalla ricerca di suoni "primari" in grado di sbiadire i densi impasti timbrici della musica sinfonica romantica: timbri poco compatti, vicini alle trame evanescenti del linguaggio poetico simbolista ed alle pennellate di colore nitido ed "incontaminato" di pittori quali Monet, Manet e Cezanne. Musica che tende a non lasciare sensazioni ben definite, che si addentra in "ambienti" tenui e sfumati, colmi di effetti sonori, di suoni alterati, con originali indicazioni interpretative quali "Profondement calme, dans une brume doucement sonore" (letteralmente Profondamente calmo, in una nebbia dolcemente sonora), reperibile nello spartito di La Cattedrale che annega. Nelle svariate composizioni di Debussy, i titoli, spesso suggestivi, sono già proposti in calce allo spartito per indicare l' assoluta soggettività delle emozioni che il brano può suscitare nell' ascoltatore.


(bozzetto di Leon Bakst sul Prélude à l'après-midi d'un faune )

Il Prélude à l'après-midi d'un faune (Preludio al pomeriggio di un fauno) è un poema sinfonico di Debussy, eseguito per la prima volta alla Société nationale di Parigi. Ispirato al poema L'après-midi d'un faune di Stéphane Mallarmé (1876), è considerato il prototipo dell'Impressionismo musicale. La musica narra le fantasie diurne di un fauno che, in un paesaggio bucolico, si diletta a suonare il flauto e ha incontri amorosi con alcune ninfe. Di nuovo solo, il fauno riprende la sua melodia e cade in un sonno beato.

Inizialmente, tra la fine del 1890 e l'inizio del 1891, la composizione fu concepita come sottofondo musicale al poema di Mallarmé. Ma lo spettacolo, previsto per il 27 febbraio 1891, non andò mai in scena, né la musica fu completata. Nel 1892 Debussy riprese in mano le bozze e sviluppò la composizione, dandole inizialmente il titolo di Prélude, Interlude et Paraphrase finale sur l'Après-midi d'un faune. Andò in scena il nel dicembre 1894 nella sala d'Harcourt della Société nationale di Parigi. Il successo fu tale che si dovette concedere il bis. La critica fu più disorientata dalla novità, ma nel tempo il Prélude à l'après-midi d'un faune divenne la più celebre e la più eseguita tra le composizioni orchestrali di Debussy.

Sotto il profilo tematico la composizione segue una forma tripartita abbozzata. Contiene due temi, un elemento tematico di raccordo e una variazione del primo tema. La melodia vagante del primo flauto, dolce ed espressiva, è l'elemento dominante, nel quale si incarna il personaggio del fauno, intorno al quale sono proiettate le luci e le ombre dell'orchestra, secondo un'estetica di tipo impressionista.

Nicolò Mininni, 3G

3 giugno 2010

Curiosità ... parmigiane!

13 – 15 aprile 2010: gita scolastica ai luoghi verdiani. Tanto divertimento e tante curiosità.

Busseto: la strada che portava alla casa del grande Giuseppe Verdi era lastricata con ciottoli, rumorosi se calpestati: una prima forma di “antifurto”; la casa, invece, era circondata da sabbia (silenziosa al calpestio) per facilitare la concentrazione del musicista durante la scrittura delle sue opere.

Il Teatro Verdi (nella foto), intitolato al musicista, è una piccola bomboniera, decorata in modo sfarzoso; “bomboniera” ci fa capire le sue ridotte dimensioni (la capienza massima è di circa 300 persone quando non c’è l’orchestra, perché in quel caso vengono eliminate le prime tre file, riducendo ulteriormente il numero degli spettatori).

E pensare che Verdi non ci mise mai piede! anzi, fu categoricamente contrario alla sua costruzione perché pensava che le spese investite non sarebbero mai state rimborsate alla città, proprio a causa della minima capienza del teatro. I palchi sono numerati anche all’esterno per evitare che la gente indicasse o gesticolasse durante gli spettacoli: una facilitazione, diciamo così, per le signore pettegole che amavano farsi i fatti altrui!
Più affascinante è il Teatro Farnese di Parma, un edificio ormai interamente ricostruito dopo i bombardamenti della II Guerra Mondiale (nella foto).

E’ tutto in legno, eccezion fatta per le due statue situate alla destra ed alla sinistra del palcoscenico, rappresentanti due generali a cavallo: Ranuccio I, duca di Parma e Piacenza, e principale artefice della costruzione del teatro (a sinistra) e suo padre (a destra). Non è più in uso come teatro ma rimane un vero e proprio monumento al potere dell’antica e nobile famiglia Farnese.

Antonio Bertolino
Giovanni Battista Bronzini
Federico Colasanto
Bianca Montefinese
Francesco Petrocelli