Nel Settecento, alla corte del Re di
Napoli, é già attivo il teatro. Si mettono in scena i più svariati copioni, a
volte tragici a volte storici, ma nei due intervalli che dividono i tre atti
dell'opera bisogna inserire qualcosa, qualcosa di comico che diverta il
pubblico. Così Giovanni Battista Pergolesi scrive un'operetta comica, un
Intermezzo in due atti: La serva padrona, la sua unica opera teatrale di
rilievo prima di morire giovanissimo.
I personaggi sono solo tre: la
servetta Serpina (soprano), affascinate e subdola ragazza, che desidera
diventare la moglie del vecchio Uberto (basso), ricco e avaro padrone, che
negli anni ha accumulato ricchezze; per riuscire nell'intento si servirà
dell'aiuto dell'ingenuo Vespone, servo muto, quasi “strumento di
scena” agli ordini di Serpina.
La storia si apre con i dispetti che Serpina
fa ad Uberto, pur cercando sempre di conquistarlo. Quando si rende conto che le
lusinghe e le proprie decantate qualità non bastano ad abbindolarlo, decide di
corrompere Vespone e lo traveste dal terribile Capitan Tempesta che, per quanto
ne dice lei, è il suo promesso sposo. Il problema è che il capitano sembra un
uomo molto violento, pronto a distruggere ogni cosa capiti a tiro di spada, e desidera anche una
vasta dote. Così il vecchio avaro, valutate le conseguenze del danno, decide di
sposare egli stesso la servetta. In fondo, le vuole bene...!
Lieto il finale: durante
i festeggiamenti del fidanzamento Serpina e Uberto si rendono conto di essere
da sempre... innamorati!
Alessandra Massari, 2F